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Guido

Direzione Editoriale

Il mio gatto e le uova al tegamino
A stomaco vuoto si vive male e si scrive peggio. Partendo da questo fulgido, innegabile e mai confessato assioma, Johann Wolfgang Goethe, il principe dei poeti, nonché scienziato e alto funzionario statale, inframmezzava i suoi massacranti orari di lavoro al servizio del Duca di Weimar con laute portate di piedino di vitello in gelatina, carpe in salsa polacca e pernici servite addirittura per la colazione del mattino. Innaffiando il tutto con ottimi bianchi del Reno e della Mosella. E sebbene egli non si sia mai cimentato nel genere del ricettario, il suo copioso carteggio con la moglie Christiane risulta essere costituito da una sequenza infinita di descrizioni e quotidiane richieste, talvolta disperate, di carattere gastronomico.

E fu proprio incappando in un libro che parlava di lui, “Zu Tisch mit Goethe”, scovato per caso una domenica mattina in una bellissima libreria ricavata da un vecchio cinema, che cominciò la mia avventura tra inchiostro e fornelli. Comprai il libro, sebbene non conoscessi il tedesco e fossi a malapena in grado di decifrarne il titolo. Ebbi subito la sensazione che si trattasse di qualcosa di nuovo e molto interessante, perlomeno in linea di principio. Non solo poteva essere un modo insolito di osservare e intendere la cucina e il cibo, ma poteva essere un modo nuovo di “leggere” la vita stessa.

Quella che era solo una sensazione trovò conferma, dopo alcuni anni e una volta appreso il tedesco, nella lettura. La cucina diveniva qui un minimo comune denominatore, un piano di lettura, trasversale e familiare, per interpretare l’esistenza.

A questa prima, fortuita scoperta ne seguirono molte altre: ovunque mettessi il naso con un po’ più di attenzione subito saltava fuori qualche “peccatuccio gastronomico” di grandi letterati, musicisti, pittori, teatranti, attori e chi più ne ha più ne metta. Pablo Neruda, tanto per fare un esempio, scrisse un’ode al carciofo, Carlo Emilio Gadda, manco a dirlo, ne scrisse una al risotto, Balzac e Zola produssero interi ricettari, talvolta in più volumi, Dumas, come sempre sovrabbondante, oltre al famoso “Grande Dizionario di Cucina”, sfornò un libro di ricette addirittura in cinque volumi, così sconfinato che nessun editore, al di fuori della Francia, ha mai avuto il coraggio di tradurlo e pubblicarlo. Gioacchino Rossini trascorse gli ultimi anni della sua vita a inventare ricette e scrivere di cucina tanto che, narra la leggenda, alle vibranti lettere di protesta dell’editore Ricordi che gli aveva commissionato ben tre opere, pagandole in anticipo, e se ne era vista consegnare una soltanto, faceva rispondere dalla moglie che non poteva tener fede agli accordi in quanto impegnato a tempo pieno nel perfezionamento della ricetta del famoso “filetto alla Rossini”. Il grande Claude Monet passava intere serate a scegliere sementi dai cataloghi stranieri per il suo meraviglioso orto, tagliava personalmente la cacciagione per sé e per i suoi ospiti e amava tanto le ninfee dello stagno di Giverny probabilmente perché sotto di esse nuotavano e ingrassavano i suoi pesci preferiti, ovvero dei sontuosi lucci del cui allevamento si occupava personalmente e che faceva pescare solo poche ore prima di metterli in tavola. Georges Simenon, un vero “incontinente gastronomico”, se proprio doveva riconoscersi un tratto in comune con il commissario Maigret, indicava senza esitazioni la sua grande passione per il cibo e ha infarcito di citazioni culinarie i suoi oltre trecento romanzi. Hildegard von Bingen, una delle figure femminili più significative del Medioevo, badessa, compositrice, medico e scienziato naturalista, ha trovato il modo di far giungere fino a noi, a oltre mille anni di distanza, due sue ricette autografe. Il grande Eduardo De Filippo della cucina aveva tanto rispetto da scriverne addirittura in quartine. L’elenco potrebbe continuare all’infinito. Non esiste praticamente letterato o grande uomo di cultura, perlomeno in epoca moderna, che non si sia, prima o dopo, cimentato con questo genere letterario. E ben se ne comprende il motivo: attraverso la chiave di lettura “cibo” un uomo di cultura, un periodo storico, una zona geografica o un gruppo sociale, che di primo acchito possono apparire oscuri, distanti, a volte incomprensibili, come per incanto si “umanizzano”, ci si avvicinano, si siedono a tavola, mangiano con noi e come noi. E tutto ciò, proprio come nella realtà, rende il contatto, il dialogo, la conoscenza molto più facili e immediati. Ecco anche perché i libri che trattano questi argomenti, oggi a dire il vero di gran moda, mietono tanto successo: permettono un approccio mediato e non “traumatico” a realtà che talvolta incutono soggezione o che non sempre riescono a riscuotere, autonomamente, lo stesso interesse.

E credo si possa andare oltre: l’uomo, da sempre, ha cercato di affrontare e superare i suoi bisogni primari elevandosi sopra di essi, sublimandoli nel tentativo di esorcizzarli. E non v’è bisogno più primario dell’alimentazione: un appuntamento fisso, in genere tre volte al giorno, per tutti i giorni della nostra vita, ci obbliga a pensare al cibo, a rapportarci ad esso. Non c’è scampo, la vita stessa lo impone. E di necessità s’è fatta virtù. Così, come si è inventato l’amore per sublimare la funzione riproduttiva, che sempre più con il procedere dell’evoluzione ci dev’essere parsa troppo brutale e animalesca, l’uomo, per gettare il cuore oltre l’ostacolo dell’obbligo alimentare, si è inventato la gastronomia facendone una forma d’arte, strumento di elevazione attraverso il quale, in qualche modo, egli cerca di avvicinarsi a Dio. E il paragone non sembri azzardato. Certo, alzi la mano chi fra i signori uomini non si è mai ritrovato a pensare che sarebbe una bella comodità potersi comportare, almeno ogni tanto in un certo campo, come qualche pitecantropo nostro antenato. Ma così non è. L’uomo ha sublimato. E si ritrova a scrivere poesie, lo sguardo umido perso nel vuoto, patendo l’inferno pensando all’Amato Bene perduto. Mentre questi complicati pensieri affollano la mia mente, mi accorgo che, seduto accanto a me, lo sguardo socchiuso e sornione, il mio gatto mi sta osservando. Paterno e quasi compassionevole, mi appare padrone di una saggezza istintiva e primordiale che a noi, patetici “sublimatori”, è forse sfuggita per sempre.
Che fare? Forse due uova al tegamino che, con un po’ di pecorino e una grattata di pepe, possono essere confortanti quasi quanto un abbraccio.

(Apparso sul “Riformista” il 20 ottobre 2004 e sull’”Eco di Bergamo” il 15 maggio 2005)


Anita

Redazione

Anni fa ho scelto una formazione da traduttrice per assecondare la mia indole schiva e riservata, da sempre amante dei dettagli e delle sfumature. Già mi vedevo, china su mille fogli nel silenzio di una solitudine infranta solo dalla presenza di una gatta acciambellata sulle mie gambe. E poi? Poi la vita ti fa degli scherzi strani, e ti ritrovi invece a lavorare in una casa editrice che è un porto di mare e in cui il lavoro di squadra è imprescindibile. Poi, ironia della sorte, scopri anche che quel lavoro ti piace proprio per quella bella sinergia che percepisci ogni volta che un libro approda in libreria. Sì, perché dietro la realizzazione di un volume c’è il lavoro di numerose persone che ogni giorno, con passione, costanza ed entusiasmo, mettono a disposizione il proprio impegno, la propria esperienza e le proprie conoscenze per dare voce a progetti editoriali degni di essere diffusi e condivisi. Ecco perché ogni giorno mi impegno a fondo per continuare a dare il mio contributo alla squadra. Ah, a proposito: alla gatta però non ho potuto rinunciare e, anzi, nel frattempo sono diventate due!


Giusy

Redazione

Nella mia vita ho vissuto dei veri e propri momenti di epifania. Tutti piuttosto precoci, se ci penso…
Il primo lo ebbi quando imparai a leggere.
Il secondo, in terza elementare, quando la maestra spiegò le divisioni a due cifre…
Quel giorno capii il significato dell’espressione “non essere portati”!
I libri invece erano tutto quello che di più bello potevo immaginare: rifugio, cura e dannazione.
Nel frattempo, mi sono laureata in lettere classiche e ho seguito un master in comunicazione. Qui mi occupo di editing e contenuti, forse nel vano tentativo di restituire quello che negli anni i libri mi hanno dato. O forse perché sono una monomaniaca del linguaggio scritto.
Le storie, il cibo, le persone e alcuni luoghi sono la mia riserva di fantasia e ispirazione: non potrei fare a meno dell’estate in Salento, dello sguardo del mio compagno, del mare, dei racconti inventati per i miei bambini e perfino della routine! In sostanza, sono una seguace dell’ “Everything Is Copy” di Nora Ephron.


Carolina

Grafico

Lavoro per Guido Tommasi Editore da sette anni. Mi occupo di grafica editoriale e ogni tanto metto un piede nel web. Sono Pesci ascendente Vergine: una mongolfiera manovrata da un pilota molto prudente. Ritrovo molto di me in questa metafora. Amo l’ordine, so essere concreta e organizzata, ma la mia natura è creativa e sognante, anche se tengo i vestiti nel mio armadio in ordine di colore! Il mio lavoro mi permette di dare forma al mondo interiore e alle mie intuizioni attraverso le pagine di un libro. Nella fase di creazione non so mai se avrò l’idea giusta o se il mio progetto sarà efficace. A volte mi ritrovo a “parlare” con InDesign e con il mio Mac, quasi come se mi aspettassi un consiglio da loro! Ho interessi diversi in campi diversi. Una delle mie più grandi passioni è la cucina; l’unica attività che riesca a farmi davvero rilassare insieme alla meditazione e alla pratica di trattamenti shiatsu. Adoro i libri e il tè, i film di Christopher Nolan, l’umorismo e i giochi di parole, le persone gentili, i Beatles, le composizioni di Chopin, il pinzimonio e... le liste.


Silvia

Amministrazione

Sono una persona con molte passioni: i viaggi, il buon cibo, le persone gentili e un po’ strane, l’ordine, la nitidezza di un bilancio, l’umorismo fatto bene, i colori pieni di vita, il silenzio perfetto dei paesaggi innevati, la forza prorompente del mare, il confronto dialettico. Qui mi occupo di amministrazione, un piccolo grande universo, dove i numeri sono i protagonisti, insieme alla capacità di ascolto e a quella di stemperare la tensione con una risata. Ridere mi fa sentire più leggera e “centrata”, mi permette di tenere le cose importanti e scartare il resto, è il mio modo per rimanere a galla quando gli altri faticano a farlo. Ho fatto studi di pedagogia e psicologia e non è così strano che nei numeri io veda un archetipo, una sorta di manifestazione dello spirito e quindi della dinamica psichica.
Qui in casa editrice ho trovato la via per esprimermi attraverso il rigore amministrativo e la leggerezza dei sorrisi. Non amo cucinare, ma sono curiosa per natura e assaggio volentieri…


Paolo

Responsabile Commerciale

Se mi guardo indietro posso dire di aver fatto bene molte cose.
Sì, insomma, mi piaceva il tennis e sono riuscito a vivere dentro i tornei atp, conoscendo i miei idoli (e ricavandone, spesso, cocenti delusioni!).
Amavo suonare il basso e ne ho fatto quasi una professione: ho suonato in tanti luoghi di cui ricordo solo qualche volto sbiadito e anche a San Remo, non proprio in prima serata, ma il mio momento da star della riviera l’ho avuto!
Mi sono trovato a lavorare nel settore dell’editoria quasi per caso, ma mi ha preso subito. Ho cominciato in Einaudi e, nel giro di 7-8 anni, sono passato da agente di zona a direzionale (con licenza di uccidere!) con una responsabilità di poco meno di 20 milioni di fatturato!
Non amo snocciolare dati e percentuali: preferisco la dialettica e i ragionamenti concreti, conditi con un sorriso e con qualche battuta, guardando negli occhi il mio interlocutore.
Alla Guido Tommasi Editore sono arrivato perché sentivo il bisogno di riconsiderare i libri per quello che sono davvero e per quello che danno ai lettori, ai clienti e ai librai.


Karen

Customer care e amministrazione

Sono una persona che ama le cose semplici, i dettagli nascosti, i piccoli meccanismi che trovano posto dentro ingranaggi più grandi. Per natura sono portata a rincorrere la coerenza e, mentre m’impegno a trovare la quadratura del cerchio, l’obiettivo cui cerco sempre di tendere è l’armonia. Amo quella sensazione di appagamento che si prova quando tutto è andato a posto, la tensione che si allenta, i nodi che si sciolgono, quando le ultime tessere del puzzle trovano la loro strada quasi da sole, senza alcuna forzatura. Sono approdata alla Guido Tommasi Editore un po’ per caso. Mi occupo di e-commerce e customer care, di logistica e un po’ di amministrazione, in supporto a Silvia. Mi piace il mio lavoro perché mi mette alla prova: si fanno tanti incastri e poi, alla fine, tutto torna a quadrare. Vorrei vedere tanto, imparare di più, riuscire a conoscere a fondo le persone, ciò che le rende particolari e insolite. Amo il sole ma, se sono in vacanza, mi lascio catturare anche dalla malinconia di una giornata di pioggia.

 

Ufficio stampa

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